Rieducare il palato a sapori generalmente considerati “sgradevoli” potrebbe aiutarci a seguire un’alimentazione più sana e ricca di nutrienti utili per il mantenimento dello stato di salute.
È quello che emerge dal progetto “Bitter is Better” e da un interessante articolo scritto dalla professoressa Angela Bassoli, docente di Chimica organica e basi molecolari del gusto presso il Dipartimento di Scienze per gli alimenti dell’Università degli studi di Milano:
Nel corso degli anni il nostro palato si è sempre più abituato a gusti standardizzati derivati dall’ampio consumo di cibo industriale spesso ultra-processato. Sia il cibo industriale ultra-trasformato che il cosiddetto junk-food (ad esempio il cibo da fast food) sono generalmente ricchi di grassi di varia natura, zuccheri e sale. Questi alimenti prendono complessivamente il nome di HFSS (High Fat, Sugar and Salt) e rappresentano un serio problema per la salute in quanto sono la causa dell’aumento dell’incidenza di obesità, patologie cardiovascolari, diabete e numerose altre patologie metaboliche caratteristiche dell’epoca moderna.
Grassi, sale e zucchero sono tutti ingredienti che vengono generalmente aggiunti alle preparazioni per rendere i prodotti più appetibili e gradevoli per il consumatore.
Uno degli aspetti forse ancora poco noti è che le scelte alimentari (nell’uomo, ma in realtà in qualunque essere vivente) sono guidate dal sistema biologico preposto naturalmente alla scelta del cibo, ovvero dal sistema recettoriale della percezione sensoriale e gustativa: in poche parole i nostri sensi sono -o dovrebbero essere- perfettamente in grado di farci trovare e scegliere gli alimenti che ci servono, per qualità e quantità. I recettori gustativi si adattano in funzione di cambiamenti fisiologici legati all’età, al sesso, allo stato di salute, e anche in funzione disponibilità del cibo nell’ecosistema. Tutto ciò avviene in funzione dell’unico obiettivo di qualsiasi essere vivente: la sopravvivenza.
Il gusto e la percezione dei sapori sono quindi “segnali” che ci permettono di capire cosa è giusto consumare oppure no in funzione del nostro stato fisiologico e si dividono in tre categorie principali:
Un esempio classico di questo ultimo gruppo di segnali è quello innescato della caffeina: la caffeina è la sostanza amara per eccellenza e può essere considerata un farmaco prezioso o un veleno tossico a seconda della sua concentrazione, dell’età di chi la beve e del suo stato di salute.
Anche il sapore acido rientra in questa categoria, alcuni cibi “acidi” inviano un segnale di qualcosa di avariato e quindi “non salutare”, ma acida è anche la vitamina C che è fondamentale per la salute e anche alcuni tipi di fermentazione donano agli alimenti sapori acidi (yogurt, kefir, kombucha, ecc.), ma allo stesso tempo li arricchiscono di sostanze buone per l’organismo e per il microbiota intestinale.
Nella società occidentale si mangiano troppi cibi dolci, salati, grassi e standardizzati mentre, al contrario, molti alimenti con sapore acido, amaro e speziato vengono accantonati e risultano quasi sgradevoli, nonostante contengano sostanze che possono apportare numerosi benefici per la salute.
Il nostro sistema gustativo si è fondamentalmente adattato al sapore del cibo industriale e reagisce negativamente a tutti quei sapori a cui non è abituato perché vi è sottoposto raramente.
Questo adattamento non ci ha solo diseducati a mangiare in maniera variegata, ma ha avuto forti ripercussioni anche sull’agricoltura e sulla tradizione. Molti vegetali amari, spontanei o coltivati, che facevano parte della tradizione culinaria di diverse regioni italiane stanno infatti progressivamente sparendo in quanto considerati di scarso interesse economico, a dispetto delle loro proprietà nutrizionali.
C’è quindi da chiedersi: anziché investire tempo e denaro per mascherare il sapore considerato “sgradevole” di alcuni alimenti non sarebbe meglio educare il consumatore a conoscere questi alimenti ed insegnargli che determinati cibi fanno bene alla salute proprio perché amari? Infatti è solo imparando e conoscere e ad apprezzare i sapori “inusuali” che si introducono sostanze bioattive positive per la salute e si riduce in maniera automatica e progressiva il consumo di zuccheri e grassi.
Come si legge nell’articolo “la riscoperta dei sapori “negletti” e della loro funzione biologica attraverso gli strumenti della scienza può facilitare un processo di educazione alimentare utile a ristabilire degli equilibri nutrizionali, allargare gli orizzonti culturali e aprire la strada a molte applicazioni in campo agroalimentare, farmaceutico e medico”.
Fonti e approfondimenti:
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